Un superbo esempio nonché mix fra pseudosoggettività e oggettività reale – che potremmo anche definire volutamente multi-oggettività – è quella già accennata in una nota precedente, quando si è fatto riferimento al viraggio, da B/N a colore, nel C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola. Qui, all’interno di una complessa sequenza densa di pathos, si inquadrano i tre amici che, al termine, prenderanno direzioni opposte, segno di una apparente e inequivocabile definitiva separazione. Pertanto la mdp si muoverà e stringerà sul madonnaro – collocato al centro dell’inquadratura, inizialmente campo lungo, poi via via piano – di Piazza Caprera.
Se, come già detto, questa è una delle più intense e vibranti sequenze del cinema italiano (ma, certamente, non solo) – nonché uno dei climax ed epicentri di quel capolavoro di Scola, Age e Scarpelli – la sua struggente bellezza vige non soltanto nelle contingenze della vicenda narrata (tre-quattro dei sei protagonisti, metafore delle coscienze italiane nel dopoguerra, le cui strade momentaneamente sembrano definitivamente separarsi), non solo nella presunta marginalità di alcuni apparentemente esigui dettagli, viceversa grondanti di pregnanti connotazioni – i fogli di giornale, che ritraggono il volto sofferto di Gino Bartali, appesi all’edicola, anonima come anonimo è l’edicolante e i suoi meccanici gesti presso tale edicola dietro la quale, viceversa, espressivamente cerca riparo Gianni per non esser scorto dagli altri tre che, mestamente e inconsapevoli di Gianni, attendono il furgone che porterà Luciana via dai suoi ormai consapevolmente frivoli sogni giovanili – ma anche e fondamentalmente nel successivo simmetrico allontanamento dei tre amici, con il loro diverso lesto o lasso o incerto incedere, lungo le tre strade opposte della piazza, strade poste come ai vertici d’un ipotetico e irreale triangolo.
Gianni inizialmente, nello specifico profilmico, scruta la scena fuori campo e la sua pseudo-soggettività (soggetto guardato, quasi di spalle, che guarda un oggetto fuori campo – il trio costituito dai due amici e dalla donna – ) cozza, poeticamente, con l’apparente e volutamente mistificatoria oggettività dell’edicola e dell’edicolante, in tal modo generando, di fatto per lo spettatore, due assi dello sguardo volutamente ed espressivamente contrastanti. L’edicola e l’edicolante costituiscono l’oggetto, della mistificatoria oggettività, frapposto fra il guardante e il guardato della pseudo-soggettiva, generando così un potente contrasto soggettivo, o pseudo tale, vs oggettivo. In tale maniera, nel successivo campo totale del madonnaro e dei tre amici che si dividono ai vertici della piazza, campo totale che progressivamente stringe sul madonnaro, si attua una oggettività che decisamente diviene multipla, plurima, multifocale – di fatto un’oggettività che oseremmo definire una specie di pseudo-oggettività – essendo all’inizio principalmente distribuita su tutti e tre gli amici e soltanto marginalmente centrata sul madonnaro. Ma, tale distribuzione di focus, cede infine al focus centrale proprio dell’anonimo madonnaro su cui vien fatta convergere l’attenzione dello spettatore, guidata e condotta dalla mdp e dal suo sapiente carrello. Il madonnaro, al centro del campo totale, viene progressivamente ravvicinato nel magnifico movimento di macchina, fino ad esser sovrastato, nell’inquadratura, sia visivamente che acusticamente grazie al parallelo crescendo della musica di Trovajoli, culminando quindi col viraggio al colore ed anche col viraggio dal multi-oggettivo all’oggettivo puro. È quest’ultimo l’approdo degli itinerari dell’anima, insieme, dei protagonisti e dello spettatore nonché, probabilmente, degli autori stessi.
Ma, ancora, in merito a questa epica sequenza si potrebbe azzardare un magnifico parallelo fra cinematografia ed ecologia animale. Ciò trova la sua valenza laddove Gianni e l’edicolante appaiono come singoli e separati organismi appartenenti a specie animali differenti che, pur essendo parte del medesimo ecosistema (l’inquadratura), e pertanto pur costituendo e costruendo insieme una potente semantica profilmica (come se fossero, ad esempio, diverse specie animali della savana), di fatto non sono in rapporto alcuno nella catena alimentare (la vicenda) e pertanto – analogamente a specie animali prive di legami ecologici – si ignorano completamente, transitando in maniera anonima l’uno accanto all’altro, lambendosi senza toccarsi; questo cercato e cozzante anonimato, questo ignorarsi, conferisce una enorme potenza espressiva a queste inquadrature.
La sapiente sequenza di Scola, in C’eravamo tanto amati, contiene intrinsecamente tutto ciò!