Selenia Ciuffoletti, con Io e Zeta (Kubera Edizioni, 2019), metaforizza la dolorosa transizione adolescenziale – il distacco dagli affetti atavici e primigeni – in una tenerissima – è il caso di affermarlo – chiave fiabesca.
Se di fiaba si tratta, tuttavia, essa comprende senz’altro fini etici, educativi, di formazione, appunto, di ricerca e crescita della piccola protagonista.
Da subito il lettore si avverte partecipe di Viola, suonatrice dispersa in una sorta di ennesimo paese delle meraviglie (varie citazioni di personaggi di favole, in dismissione, saranno fatte e riprese nel seguito del racconto), il quale ha comunque i confini – fieri e tesi, potremmo pensare – delle membrane di un tamburo. Coerentemente il medesimo tamburo/paese è popolato di fantasiose creature, a loro volta metafore delle controverse istanze della labile psiche adolescenziale della protagonista che abbandona l’infanzia per essere traghettata verso la maturità. Così Viola, abbandonata per sortilegio di teletrasporto da parte di Alì Coccolino – può, si chiederà il lettore, un essere dal nomignolo così affabile e garbato compiere un’azione in apparenza tanto malevola? – l’indubbiamente adorata nonna, si trova catapultata in questa nuova dimensione di bizzarria e solitudine.
Ne uscirà mai, Viola? E, se sì, come?
La seguiamo nelle sue peregrinazioni e incontri di simpatici personaggi che tuttavia non colmano il vuoto interiore di Viola, non rispondono alle sue domande. Fanno seguito ripetuti mutamenti di scenario, di tono e di umore, tra cui un boato – chissà se metafora del menarca o di una prima esperienza più intima – in cui la tensione dialettica è sostenuta dal contrasto simbolico fra una piuma smeraldina e una spada, dalla loro alternanza sulla scena, e in cui finalmente fa la sua comparsa la misteriosa figura di Zeta.
Probabilmente tutta la storia, che si attua in un serrato “percorso camaleontico”, si condensa attorno a una delle massime finali: “Sì è proprio tutto qui in questa Terra”; perché, al di là della favola, una fede immanente sorregge l’intero impianto narrativo, una fede conoscitiva che alterna dolore a entusiasmi, solitudine a coralità, luoghi comuni ed echi di storie già vissute entrate nell’immaginario collettivo a nuove misteriose entità.
Una ricetta, pur controversa, per vivere la realtà?
[Fabio Sommella, 21 agosto 2019]
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