La Lirica
Il mare
il mio orizzonte
il mio presente
ieri oggi sempre
Mi viene incontro
mentre cammino
passo dopo passo
lungo il Corso che corre
dritto alla marina
cambia colore col
mio umore
il mio muta col suo
Le rondini schiamazzano
in alto
non si curano d’ altro
di quel cielo che si eleva
sopra le nuvole
oltre i loro frivoli voli
verso un ignoto senza nome
Di questo enigma che scende rasoterra
prende le forme della sera
Si stende sulle case
si posa sui giardini
indugia sui binari della vecchia stazione
si allunga
sui tigli in fioritura del parco comunale
che esala i profumi del male.
[Anna Vasta, 6 giugno 2020]
Commento critico
Sono quattro le dimensioni che attraggono la protagonista di questa – splendida? Indubbiamente sì – lirica della poetessa catanese Anna Vasta.
La prima è quella prospettica e orizzontale, la profondità dell’orizzonte, mediato dal mare e verso il mare, irraggiungibile ma a cui, inestricabilmente pur nell’impossibilità, tende l’anima in un moto istintuale, calamitato.
La seconda dimensione è quella verticale, questa vertiginosa – trascendente? – e infinita, nella quale e verso la quale, tuttavia, le “frivole” rondini che “schiamazzano”, insieme alle nuvole, fanno barriera, rondini a loro volta sgomente e che precludono quindi il cielo (“sopra le nuvole / oltre i loro frivoli voli / verso un ignoto senza nome”).
La terza dimensione, eminentemente terrena, – immanente? Certo umana – è così usuale, quotidiana, ordinaria e malevola. Essa “esala i profumi del male” e, dopo alcuni passaggi – simil movimenti di macchina filmica – (“sulle case /
si posa sui giardini / indugia sui binari della vecchia stazione”), assume la fisionomia e i contorni definitivi del parco comunale.
Infine, a latere – ma, certo, non marginale – il tempo è la quarta dimensione che s’incarna nei colori e nelle evanescenze nella sera.
In questo scenario tetravalente – o, se vogliamo, di spazio-tempo in qualche modo e misura einsteiniano – prende corpo un processo – il processo? – di contaminazione reciproca, di osmosi, di commistione scambievole con il mare (“dritto alla marina / cambia colore col / mio umore / il mio muta col suo”), orizzonte della protagonista. Protagonista, autrice e certo il lettore, tutti insieme indugiano a muoversi, a conoscere, a spaziare veicolati dalla forza della poesia.
Al lettore, pertanto, nell’ordito temporale della sera, non resta che perdersi inebriato nell’enigma, in questo spazio tetradimensionale, alternativamente richiamato verso – nonché combattuto dal – l’orizzonte marino, le altezze misteriose, il parco comunale. Sintomatici sono i predicati spaziali – anche geometrici – nei versi finali: stende, posa, allunga, indugia, esala.
Ce la farà la protagonista, se non a svelare – forse troppo, per noi umani! – l’enigma, ad approssimarsi al suo mare?
Al lettore la risposta.
[Commento critico di Fabio Sommella, 6-7 giugno 2020]
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