Era
il faccino tuo
che incorniciava gli occhi verdi tuoi
quando indietro traevo la riccia nera chioma
e t’ammiravo
come una bimba
tanto piccola
quasi, tu, fossi indifesa
e di baci coprivo il volto
– “viso di primavera” -.
Era il ricordo tuo, indelebile
come una foto, l’ultima sera.
E pensavo a come
t’avessi dato troppo,
portandoti ovunque con me
e t’avrei portata oltre,
parlandoti di tutto.
Mentre tu
parlavi di ferite tue
di quando di senno uscivi
dopo i maltrattamenti – morali solo, spero –
senza pensar alle mie:
malattia, lutto,
assenza, bugie,
senza eccedere oltre
se non me lo chiedevi.
Pensavo ai tuoi discorsi “Non voltarmi le spalle”,
“Dove andrei senza te”, “Sono scappati, quegli uomini
uguali, ligi alle famiglie loro, mentre tu…”,
“Allora c’è speranza”, quando ti dissi che adorato avevo
la mia compagna.
Era la passione dei baci,
della fragranza dell’intimità
a darmi la fiducia
e mi esortava a far programmi
di vita.
Ignaro delle scelte,
tue,
delle paure
per i miei mali,
della brutale tua risposta
– la tua assenza –
la tua trascuratezza
nel non pensarmi
ora.
[Fabio, 29 agosto 2019]
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