Ho, pur implicitamente, già esposto – l’implicitamente si riferisce al fatto che, quanto qui riferirò, lì era in chiave finzionale – i principi che regolano la mia prosa narrativa. Precisamente ho effettuato ciò nel mio raccontino Perché scriviamo. Qui cercherò di esplicitare, illustrando la medesima tematica in chiave saggistica.
Si può scrivere prosa narrativa per divertire – divertissement, dicono i francesi – ciò giungendo probabilmente a definire anche un genere. Fatto salvo che – io, scrivendo – certamente mi diverto anche, non è questo il mio caso. Perlomeno non scrivo, solo, per il puro e semplice divertimento, mio o , eventualmente, per intrattenere il possibile lettore.
Si può scrivere prosa narrativa per documentare; da cui nascono i generi docu-fictional, docufilm, e probabilmente altri. Ma anche questo non è, perlomeno solo, il mio caso.
Facendo riferimento a James Hillman, oso anche dire che “Si scrive il libro che si vorrebbe leggere“. Ma anche ciò suona più come un divertente paradosso.
Scansando altri eventuali motivi non rispondenti alla mia reale motivazione, vengo al dunque e affermo che – il fine della mia prosa narrativa – è quello di veicolare significati attraverso storie verosimili o possibili, con personaggi che – nell’accezione più ampia della narratologia (ma si veda almeno anche qui nonché qui) – sono gli elementi cardine di questo processo di veicolare significati (ad esempio: qualcuno ha detto che “I personaggi sono il modo con cui il cinema racconta le storie“).
I significati di cui sopra sono ovviamente da intendersi nell’accezione più ampia, ovvero in base ai paradigmi tanto della narratologia e narrativa classica che di quella moderna nonché postmoderna. I significati possono essere esprimere un pur semplice sentimento, punto di vista, emozione – esistenziale, sociale, politico, … – quanto financo – utopisticamente – in qualche modo contribuire a cambiare il mondo!
Ciò detto e tornato con i piedi per terra, è chiaro che queste finalità poggiano su una serie di potenziali contenuti che a loro volta sono retti da una forma; la forma è data dal linguaggio e dallo stile. L’insieme di questi elementi tutti contribuiscono al genere letterario prediletto dall’autore, in questo caso da me.
Cercando di definire adesso quelli che sono i miei modelli di prosa narrativa di riferimento dico che: se fissiamo agli estremi da una parte i romanzi di Harmony e dall’altra parte la narrativa di ‘800-‘900, i miei modelli sono decisamente i secondi!
Analogamente: se fissiamo agli estremi da una parte le saghe dei romanzi di J. K. Rowling e dall’altra parte quelle di Lev Tolstoj, i miei modelli di riferimento sono pure decisamente i secondi!
Tutto ciò – come ho affermato anche, in modo finzionale, nel mio racconto breve di cui sopra – va ovviamente filtrato attraverso la consapevolezza che, ormai, tutto è stato detto, tutto è stato scritto. Pertanto – qualora si desideri essere, in qualche maniera, rivoluzionari o comunque dire qualcosa di nuovo o perlomeno di utile ed empatico – non sono tanto i contenuti quanto piuttosto la forma ad esser prioritari. La forma – già citata sopra – va a sua volta filtrata attraverso la propria sensibilità artistica nonché attraverso il proprio tempo, anche facendo i conti con questo: si legga, oggi, postmodernità. Con tutto quello che ne concerne.
Ciò, pur sommariamente, esposto, mi piace terminare con un’esortazione tratta da Il cambio della guardia: “che l’arte del raccontare continui a parlarci!“.