E poi si muore. Così. Nell’improvviso demolire di un’arteria. Nella rottura degli argini. E il deflagrare. In una esondazione interna. Oppure nel calvario di anni. O ancora nel precipitare da una parete rocciosa. O semplicemente ammazzati. Anche a pochi – pochissimi – anni.
E si soprassiede – si dimentica – il vissuto. “Ma no, era una persona di una leggerezza estrema… l’ictus non si spiega!”, “No, la sua malattia non c’entra nulla con la sua vita”, “No… è stato un incidente”, “Quei delinquenti…”
E invece è nella vita. Nel pensare. Nei dialoghi. Forse anche nel fumo – certo – e nell’amianto. Nei cibi. Nell’alcool. Ma… il vissuto? Il suo stile?
È nelle nostre esagerazioni. Ossessioni. Ansie. Nelle nostre sollecitazioni ansiogene. È nel padre che – per giusto amore – si ossessiona e dice “Io, se toccano mia figlia…”. È in colui che ricerca l’umanità, l’ospitalità, l’accoglienza, e non si spiega quell’intolleranza, se non per egoismo. E allora urla: “Perché a nessuno piace mangiare mxxxa“. Certo, giusto. Siamo Enterocelomati Deuterostomi e non Schizocelomati Protostomi, dove tutto passa e tutto torna. Che i due orifizi si tengano ben separati, come la nostra evoluzione zoologica ben c’insegna.
Ma è anche nel tentativo – patetico – di ridurre la propria dissonanza cognitiva, da parte di certo – politicamente determinante – elettorato. La loro ostinazione nel cercar motivazioni per una presunta desiderata coerenza. Laddove…
E poi è nella tua pretesa – altrettanto ostinata e ottusamente puntuale – di chiarire – ancora – il tuo pregresso professionale, le sue dinamiche, i mutamenti storici, l’attuale tuo disamore… che pxxxe!
Ed è anche nel dolore – vero, perché ti dispiace sinceramente – che avverti quando il tuo carissimo amico ti confida che, verso un altro tuo amico, “No, non si comporta bene: sul lavoro si è dimostrato di una strxxxxxxxine estrema.”
E tu, che eri contento che l’altro tuo amico avesse ironizzato sul Social insieme a un altro tuo vecchissimo amico – dei vent’anni – circa la tua pigrizia a usare la chitarra buona (il mio unico lettore porti gentile pazienza per queste digressioni personali)… e tu che gli avevi detto “Ma dai, fatela finita!”, fiero anche di aver creato un pur virtuale link tra l’altro tuo amico e l’altro tuo vecchissimo amico – che sono di età diversa e non si conoscono ma convengono attorno a medesime tematiche di amicale sfottò – … e tu… e tu… e tu…
Perché – in questa diatriba fra il tuo carissimo amico e l’altro tuo amico – ti rendi conto, insomma, di come – quando si entra nell’own garden – sia purtroppo più vicino il dente del parente. Anche in merito a te. Anche in merito ai tuoi amici. A cui tu vuoi bene. A entrambi. E ti chiedi come mettere in relazione – sana – i due.
Quale sia l’arcana alchimia? Che riguarda tutti noi. Sempre. Indistintamente.
E riguarda anche la tua stralunata moderna Charlot, la tua piccola capo-indiana, a cui confidi tutto il tuo bello e tutto il tuo brutto, e che coglie quel pulviscolo di luce, silenzio sospeso fra le due note che tu suoni, che lei – ti dice – ama tanto. E allora non capisci. Non comprendi. E, però, ne sei fiero. Lieto. Felice, di non riuscire a scorgere l’origine. Il motivo. La fonte. Il perché – esso – eppur si muova. E non te ne frega niente. Perché puoi – e vuoi – solamente adagiarti in questo fascinoso flusso vitale.
Ché non sia una malattia.
Perché non si muoia senza aver prima saggiato un barlume – e non solo “bugie e volgarità” – di questo misterioso meraviglioso Cosmo.
[Fabio Sommella, 27 ottobre 2018]
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