La stella

Cammino per il dedalo di viuzze vicino casa con il fine di adempiere ad alcune commissioni di fine anno. Non procedo di fretta ma sul marciapiede, proprio dinanzi a me, c’è una coppia di anziani che mi occlude il passo. Procedono ad andatura molto lenta: lui parzialmente arretrato; lei, certamente più vigile e vispa, lo traina quasi per il braccio, tenuto teso verso la moglie avanzata se non di mezzo metro certo per buoni trenta centimetri. Sono entrambi molto coperti, “imbacuccati” per il freddo, anche con cappelli di lana. Riesco, con una certa fatica e lentamente a passare, superandoli a sinistra, chiedendo un sommesso “permesso”. Ma quasi non si accorgono di me e, oltrepassandoli, avverto il canticchiare di lei: riesco così  a cogliere, carpendola involontariamente ma necessariamente, una sua garbata aria musicale, mista a delle splendide romantiche parole che fanno così: “… che brilli lassù …”.

Mi fermo quasi di soppiatto; cioè non mi fermo ma rallento decisamente e deliberatamente. Poi, essendomi già allontanato da loro, per riprendere il contatto con il cantare della signora, mi fermo dinanzi a una vetrina, fingendo di essere interessato al suo interno. Però mi rendo conto che, al di là del vetro, ci sono dei tavoli e delle persone sedute che stanno bevendo o mangiando, e mi sento involontariamente indiscreto: allora riprendo, con passo molto lento, stavolta, il mio incedere. I due, ignari della mia manovra e della mia attenzione a loro, mi stanno di nuovo vicini, sono alle mie spalle e adesso procedo lentamente anch’io. Si: la sua canzone, quella che la signora sta garbatamente cantando con un allegro e gentile falsetto, è un’aria antica che cantava anche mia madre: Stella d’argento. La rammento benissimo e, di colpo, il cuore mi si sgela, scaldandosi al suo interno. Quei due sono divenuti improvvisamente benevole presenze e non son più anonimi viandanti che riempiono le strade natalizie o di fine anno. Ho carpito, in quelle figure solo apparentemente anonime, dei brandelli di vita, di storia, personale, familiare, universale.

Giro l’angolo e procedo, ma non resisto: torno indietro e li osservo ancora. Sono fermi al semaforo, sempre in quella medesima postura: lui, con occhiali scuri e, probabilmente pressoché cieco, col braccio sinistro sotto il destro della moglie, sempre avanzata rispetto al marito di buoni trenta centimetri. Adesso il semaforo è scattato e procedono serenamente. Li guardo, ammirato e con una punta d’invidia, attraversare l’Appia Nuova e perdersi nell’ungarettiano gomitolo di strade, oltre, lungo la via che conduce al parco.

Riprendo il mio cammino, verso le mie commissioni e penso alla “stella”: anche Antonello Venditti, con un’aria melodica certo più moderna ma ugualmente romantica, tanti anni fa si era ispirato a una stella, auspicando che proteggesse “i nostri sogni dalla vita quotidiana”, salvandoli “dall’odio e dal dolore” nonché dal “potere”; e la stella di Venditti l’avevo ritrovata e assimilata a quella del tolstoiano  Pierre Bezuchov.

Alzo gli occhi al cielo: non si vedono le stelle, né comete, né altre; sicuramente a causa dell’illuminazione urbana ma certo anche per le mie difficoltà oculari. Tuttavia – sono certo – una stella – quella stella – dell’anziana signora, che trainava allegramente e teneramente il marito, o di mia madre o di Tolstoj e Pierre Bezuchov o di Venditti – o, la Tua, – brilla lassù, da qualche parte, pure se non riusciamo a vederla, pure se non si fa scorgere

M’incammino di nuovo, con rigenerate solerzia e fiducia, verso le mie commissioni di fine anno!

 

[Fabio, 29 dicembre 2016]

 

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

In sottofondo Stella d’argento (South of the Border1939 , Jimmy KennedyMichael Carr) eseguita alla chitarra classica  (Yamaha CG-TA, 24 gennaio 2022) dall’autore di questo scritto.