Quante serate
passate insieme
ad allestire il rituale della cena,
ad aprir una bottiglia che s’accorda
col suo colore
al rosso della pietra,
allo scuro del piano,
al legno e al tetto,
alla grondaia e al lucernario,
al baluginar di luci
sul borgo oscuro
e al corso
e alla vallata
laggiù sui colli,
col vociare paesano
o ancor nel quartiere
urbano,
nel condominio della casa
faticata,
aspettando – chissà? – che il tempo adegui
cose
persone
luoghi
misure
e scelte.
Ora
con nostro figlio
si ripeton – per me, soltanto –
analoghi
ritmi e rituali
pur certo diversi
e penso a ciò che tu diresti
se ci vedessi
e sentissi – adesso –
parlar insieme di cose intense,
spesso come due vecchi amici
che l’intesa della vita
disunisce solo talvolta
per le inevitabili lacune
che creiamo
nostro malgrado.
Gelosa forse
un po’ saresti, tu,
qualche volta
di questa intesa e
dei nostri modi
perché “cosa da uomini”,
ma poi orgogliosa
ritorneresti
nostra regina
e fiera
di veder tuo frutto
crescere autonomo,
miglior di noi.
[28 agosto 2018]