«Eccolo che arriva», fa Eleonora alla sua collega Anna. Da lontano vedono Romualdo – alto, stempiato, pochi capelli bianchi, gli occhiali dorati, una camicia celestina finemente stirata che gli cade addosso come un mantello d’altri tempi – procedere verso di loro. «Come al solito, vedrai» continua Eleonora a dire ad Anna «avrà preso un articolo da due euro e pretenderà di pagare con cinquanta. Sono le 8:40 di mattina. La cassa è vuota perché il supermercato ha aperto da pochissimo e lui pretende di ricevere il resto.»
«Ma perché fa così?», chiede Anna.
«È un’abitudine che ha. Si fida di noi. Sa che i soldi noi li controlliamo. Gli cambiamo le banconote da cinquanta. Non si fida di nessun’altro. Ha paura che, quando va a fare la spesa altrove, gli diano dei soldi falsi. Ma almeno venisse alle undici.»
Ed è così, infatti. Romualdo procede verso la cassa, porge il suo articolo da due euro e dieci e poi, subito appresso, c’è la banconota da cinquanta. «Guardi, questa volta ancora gliela cambio», fa Eleonora con un cipiglio severo. «Ma non è possibile, non abbiamo sempre i soldi in cassa, così presto a quest’ora.
«Ha ragione, signora mia, ma… che ci vuol fare», dice Romualdo, quasi arrossendo, con un senso di umiliazione che cerca di ottenebrare con il suo sorriso antico. «Ha ragione, signora», ripete ancora «ma cosa ci posso fare», biascica ulteriormente. E così prende i soldi di resto, il suo articoletto da due euro e dieci e si allontana.
Da quando la moglie lo ha lasciato, ormai da due anni, Romualdo vive solo. Ha ottantuno anni e non sa più che fare della sua vita. E non si fida più di niente e di nessuno, in questo mondo. Gli sembra che i soldi che si porta appresso vadano via come l’acqua fresca. Ma soprattutto ha timore: timore di essere truffato, di essere frodato. Che gli appioppino banconote da dieci o venti euro false. Così esce fuori dal supermercato e si incammina verso casa sua. «Che acida, quella donna!», dice tra sé e sé. Certo, pure lui forse esagera. E percorrendo la strada ripercorre la sua vita. Che gli sembra un lampo. Un lampo che si conclude nel vuoto. Cosa farà, oggi?
Infila la chiave nella toppa del portone. Entra. Fa i quattro scalini che lo separano dell’ascensore. E poi la chiama. Chiama l’ascensore, chiama sua moglie. È passato tanto tempo, da quando non c’è più. Poco tempo in confronto agli oltre sessant’anni che hanno vissuto assieme. Erano ragazzini. Si conoscevano da quando avevano finito la scuola. E lui doveva iniziare a lavorare come apprendista in quella fabbrica di vernici. Quanti ricordi. I ricordi d’una vita. E adesso, che gli resta? Se non cambiare le banconote a un supermercato, con la fiducia e la speranza che la pensione gli basti fino a fine mese? E possa vivere ancora qualche giorno? I figli lontani, i nipoti che non vede mai. A cosa serve, ancora, questa vita? A cosa serve, lui?